domenica 29 settembre 2013

Il (semi)giro del Monte rosa



Il (semi)giro del Monte rosa a piedi: trekking di altura quando ancora non si chiamava così.
cbb

PREMESSA
In occasione conviviale, molto simpatica ed affettuosa alla ripresa post feriale, Klaus mi ha fatto un regalo di cui sono sinceramente grato: un cd con trasposizione delle diapositive scattate in occasione del giro del Monte Rosa che abbiamo completato in tre, ai tempi eroici della nostra classe: Ogliuto, Klaus ed io.
La occasione era anche per un implicito affettuoso saluto a Giovanni che, mentre scrivo, è in ospedale per fastidioso intervento chirurgico.
Scrivo quindi anche per consegnargli da subito rinnovato incarico di mettere in rete questa mia breve nel nostro sito e, per conseguenza, rinverdire immediata normalità, in questo caso postoperatoria.

La macchina fotografica era la mitica Nikkormat nera di Ogliuto.
Loro due usavano in modo alterno.
Conclusione:  io ci sono praticamente sempre quando il soggetto siamo noi,  loro a metà.
E non c’è da esserne orgogliosi, a rivedermi, faccio veramente pietà !
Lo abbiamo rapidamente commentato con Klaus in telefonata successiva,
… e chi mi volesse del male non farebbe altro che renderle pubbliche del tipo di quei documenti segreti che, resi noti a distanza di trent’anni e più, rovinano le carriere di uomini pubblici e personalità di successo.
Ovviamente io non sono né pubblico e neppure tanto di successo ! a vedere bene proprio no.

SVOLGIMENTO
Siamo nel ’70, giugno ( quello dei mondiali del Messico con Italia Germania 4 a 3 per intenderci, da cui il noto film ), dopo la scuola appena finita e siamo quindi alla fine della quarta.
Non so chi ebbe la idea, credo Ogliuto che aveva frequentato anni addietro Macugnaga.
Il gruppo del Rosa era per lui quanto per me quello del Bernina.
Beh ! più autorevole il Rosa, ma il Bernina non molto di meno.
A Macugnaga poi eravamo stati nell’inverno a casa di Maura Arosio ( che continua con rammarico a non sentirsi su queste pagine telematiche, ma va bene così, auspicando … ).
Di quelle settimane invernali e bianche ho già parlato con aneddoti e ne ho ricordo netto e bellissimo.
Anche di questo giro del Rosa ho richiamato in note precedenti, ma ora ne voglio parlare ben più diffusamente perché rivedermi(ci)  in quelle diapositive è stata una forte emozione e quindi val bene un ricordo consapevole.

Mi pare di potere dire che fu una cosa relativamente improvvisata, cioè decisa in poco tempo e subito realizzata.

Siamo come detto a giugno, fine della scuola, in quel periodo di mezzo fra la fine delle attività e lo inizio delle vacanze vere e proprie, quando si parte per mare o montagna, i tabelloni con i risultati sono stati esposti, ci si saluta e spesso con molti si sa che ci rivedremo solo all’ottobre successivo.
Già ! A quel tempo la scuola iniziava con ottobre: primo giorno di scuola 1 ora, secondo messa in piazza brescia, poi era già fine settimana e l’orario provvisorio, infine s. francesco  Patrono d’Italia. Poi si incominciava davvero.
Boh !? a me, visto oggi, sembra veramente un po’ poco rispetto a quello che ho visto dei miei figli, ma forse allora con il passare del tempo c’era veramente poca libertà di gestione di spazi e tempi e quindi quella condizione compensa un ritmo più sostenuto dei ragazzi di oggi.
Chissà !?!  chi insegna di noi può dire meglio.

Il giro del Rosa fu un semigiro, solo la parte italiana, da Cervinia a Macugnaga. In realtà ricordo che volevamo andare a Zermatt come ultima tappa e da lì con trenino ( ? ) rientrare a Cervinia.
A Macugnaga eravamo esausti e concludemmo quindi una tappa prima.
Il giro si componeva delle seguenti: da Cervinia ad Ayas (St.Jacques di Champoluc), da qui a Gressoney, poi Alagna e quindi Macugnaga.
E’ un trekking del tutto rispettabile ancor oggi, molto lungo, sempre in quota oltre i due mila metri con punte non infrequenti fino ai tre mila.
Fatto a Giugno con la neve ancora da sciogliersi era impegnativo ( ci sono foto nella nebbia che sembriamo Mallory ed Irvine sulla nord dell’ Everest negli anni venti, camminando in costa verso destra ).
Vedo poi che sulla cartina ora ci sono rifugi vicino ai passi, allora niente ad esclusione di una casa ( militare direi ) sopra Alagna.
Mi pare che la Peppa avesse casa ad Alagna e quindi potrebbe confermare.
Il sentiero in salita era invece certamente militare.
Ce lo dissero, non ricordo chi, ed era effettivamente diverso dalle classiche mulattiere che si conoscono nelle Alpi.   
Delle notazioni toponomastiche e delle informazioni logistiche Ogliuto, che frequenta tutt’oggi quelle zone anche per volontaria professione di ‘guida’ di trekking, potrà dire meglio.
Con Ogliuto, solo noi due, facemmo poi un altro trekking impegnativo credo l’anno successivo o due anni dopo: il sentiero Roma sulle Retiche Occidentali.

Ultima notazione preventiva.
Come si vede dalle foto l’equipaggiamento era del tutto adatto, decisamente tecnico, ovviamente per quei tempi.
Klaus un po’ meno ma assolutamente rispettabile.
Io ed Ogliuto eravamo quelli di montagna.
Con Ogliuto avevamo fatto credo già quell’inverno la Scuola di roccia Parravicini del Cai di Milano, una scuola prestigiosa.
Lezioni teoriche la sera in sede, allora in via Silvio Pellico vicino al Duomo, e poi pratiche al Pian dei Resinelli.
Comunque andavamo in montagna da sempre.

Dalle immagini sulla dotazione tecnica ed abbigliamento ne viene un quadro da meditare: Ogliuto è perfetto, io sono interpretabile, Klaus è sorridente.
Non mi viene altra aggettivazione.

Ogliuto ha uno zaino sempre perfetto, composto, equilibrato nelle forme e nella dimensione.
Veste sempre con camicia di flanella ( classica da montagna ), pant con ghette sempre legate, solo con il brutto tempo sembra un po’ squinternato.
La nota eversiva è la fascia bianca alla testa che fa un po’ hippy.
Al ritorno ha un maglione ‘dolcevita’ rosso con cui arrampica ( foto ) alla scuola di roccia di Macugnaga, più demodé, ma sempre in linea.
La foto peraltro non gli rende onore perché la postura di salita non va bene.
Comunque si ha la sensazione di uno preparato ad essere giusto nel posto giusto e che ci ha pensato prima.
Fa un bel vedere per l’occhio allenato all’ambiente della montagna.
Anche fisicamente è sempre lui. Ovviamente più giovane, ma indiscutibilmente Ogliuto al 100 %.

Sul tema zaino ricordo un episodio, diciamo prolungato, quindi forse non un episodio, mah ?...
Premetto che i nostri zaini erano identici: marca Millet, modello Desmaison azzurro/grigio – quello di Bonatti ! – con armatura rigida sulla schiena.
Il mio, l’ho ancora ed è bellissimo.
Io non riuscivo a fare lo zaino così bene e non capivo il perché.
Ora penso di saperlo, ma di questo diciamo dopo.
Allora, si potrebbe dire ‘corroso dalla invidia’, cercavo di argomentare sul fare gli zaini, sulla loro forma e sull’efficacia della forma e cercavo di insinuare la serpe del consenso artificiale sulla mia – di forma, si intende – con Klaus.
In realtà era evidente che non potevo vincere, però, come si dice volevo almeno partecipare.
Più mi industriavo più il risultato mi sembrava modesto.
E quindi argomentavo sostenendo l’insostenibile.
A un certo punto Klaus, con innegabile candore giustiziere, mi dice più o meno così: “ … a me il tuo zaino fa schifo, quello di Ogliuto invece sì che è perfetto, giusto e fatto bene. A me piace quel tipo di zaino, fatto così ! “.
Cazzo ! un pugno nello stomaco. Ci rimasi malissimo al punto che me lo ricordo ancora.
Ma aveva ragione Klaus.
Ogliuto intanto, ignaro di tutto, camminava con il suo perfettamente composto zaino ed io indietro meditavo con vergogna, ma, rivendico, senza desiderio di rivalsa. Accettavo la sconfitta.

Rivedendo oggi il mio zaino non era poi così inadeguato, però quello di Ogliuto svetta ed il mio arranca tipo, evocando per chi ricorda, il Gommareah avverso il Marghee, gli elefanti del Salgari nella foresta indiana. ( Klaus ci ha fatto delle vignette che pagherei per rivedere )

Klaus è sorridente e giovane.
Molto giovane.
Porta maglioncini dolcevita bianchi o rossi. Pant alla zuava di lanona. Scarponi pedule buoni e non si cura dello zaino che infatti è, naturalmente, sempre ben preparato ( per ritornare alla tiritera dello assetto dello zaino, in questo caso credo di Hans, il fratello ).
Man mano che passa il tempo è sempre più sconvolto, anche lui con fascia bianca antisudore tipo hippy.
I piedi gli facevano male ( si marciava 6/8 ore al giorno !)
C’è una foto stupenda che lo ritrae in mezzo ad un torrentello con l’acqua oltre le caviglie.
Ci sono io e lui che ridiamo di gusto, proprio di gusto e mi pare di ‘ giovanile divertimento e felicità ‘. Ogliuto fa la foto ma rideva divertito anche lui, lo ricordo bene.
Eravamo in discesa, molto stanchi. Klaus lamentava il male ai piedi. Faceva caldo e marciavamo veloci saltando gli ostacoli non soffermandosi sul sentiero ma spesso da un sasso all’altro, lasciandoci scendere un po’ come d’ inerzia.  Ancor più per guadare l’acqua che a quella stagione invade i sentieri, sempre più spesso man mano che si scende.
Ogliuto credo davanti, poi Klaus e subito dopo io, molto vicino a Klaus.
Vedo l’ acqua nel sentiero e mi preparo a saltare sui sassi e poi vedo Klaus che invece attraversa imperturbabile il torrentello immerso fino ai polpacci come se fosse tutto normale, con il senso del ‘non ce la faccio più’, ‘… io non sollevo più un piede neanche se mi ammazzate’.
Abbiamo riso molto e lui con noi e dalla foto, lui con i piedi in acqua io a lato come per far vedere,  si vede benissimo.   

Infine io.
Appunto intepretabile.
Ho una faccia da bambino, i capelli da cocker ben riposti sulle orecchie.
Occhiali che oggi andrebbero di moda ma che allora facevamo oggettivamente paura: spessi e scuri, pesanti.
Forse persino con lenti che si oscuravano al sole, tipo ‘cieco di Sorrento’, ma non credo
Orrendo cappellino in testa verdolino scuro e non si capisce il perché, non eravamo alle Baleari e la folta criniera avrebbe respinto adeguatamente i raggi solari.
Maglioni a pelle: azzurretto a striscie oppure nero con ricami rossi sul davanti. Questo veramente spaventoso.
C’è una foto che mi ritrae fianco a Klaus su un moto Ape ( quelli a tre ruote ) che ci diede passaggio da Macugnaga verso Domodossola in cui indosso: in quella foto sono indescrivibile, con bacchette ricavate da pezzi di legno tipo batteria che tamburellano sulla barriera dell’Ape ed ho appunto il maglione incriminato.
I pant invece erano i meglio di tutti: zuava, di lana appena comprati da ‘Lanterna’ di via Cernaia, vicino alla chiesa di s.marco, allora un viaggio da s.siro, ora invece ci passo davanti non infrequentemente abitando non lontano.
Assicuro, nell’insieme, una ‘cosa’ orribile, da non descriversi.
Sfido che non avevo fidanzate a quel tempo … ma chi mi ci voleva conciato così !
E poi dulcis in fondo, ma non meno importante lo zaino, inadeguatamente preparato.
Bene nella parte bassa poi però si restringe in alto, un po’ a piramide ( avevo scarpe da diporto che non riuscivo a mettere bene )
Gravissimo poi le cinghie dei ramponi: sono lasciate penzolare dietro non si sa perché.
La piccozza ( una Stubai di legno che ho ancora ) invece ben messa a lato sinistro e dall’altro, altrettanto gravissimo sotto tutti i punti di vista, giacca a vento verdona legata a fianco.
Infine le ghette a volte non legate e raccolte sui polpacci.
Sembro un portatore sherpa. Non certo un sahib !
Ogliuto no. Sembra un sahib. Compattone, ma un perfetto sahib, appunto.

Ma è la faccia da bambino quella che mi stupisce. Con i brufoli che non ricordavo più. E questi capelli che ricoprono, abbondantemente non lavati e scomposti che non danno quel senso di vaghezza fascinosa del giovane misterioso, ma proprio del ‘ vunciun, almen lavess un pu’ … se vuoi invitare una signorina al ballo ‘.
Un corpo esplicitamente acerbo, ancora non formato, pure se solido nella salita.
Un momento della vita dove non sei né carne né pesce, per certi versi da chiedersi se hai persino diritto di parola talmente instabile ed appunto interpretabile.

Questo disordine nella immagine di sé credo rappresenti bene la immagine della proprio insicurezza post adolescenziale incarnata in vestimenta messe ‘contro’ o, se si vuole, senza cura e attenzione studiata: in montagna liberi e disordinati perché non c’era niente da verificare o da sottoporre a giudizio.
Anche segno di una immaturità di fondo, però.
Fisiologica certo, ma accentuata dalla insicurezza dei propri strumenti, anche materiali che accompagnavano nella gita, quindi assemblati così così.
Il timore di una sfida da verificare fino in fondo, a cui ci si dovrebbe preparare quindi con dovuta e calcolata attenzione.
Però anche coraggio, fiducia, andremo e vedremo.
Forse l’importante erano inconsapevoli, ma essenziali requisiti: conoscenza dell’ambiente che frequenteremo, quello della montagna, amici di ferro quello sì, libertà di tempo e spazio, desiderio di una avventura ‘ nature’.

E questa imprevedibilità ( Ogliuto era il depositario dei luoghi e del tracciato, quindi la autorità ) accompagnò tutto il trekking già dall’inizio e credo sia anche il sostegno del suo ricordo fascinoso.

Dunque si parte.
Già la partenza e la prima tappa fu tutto un programma.
Credo lasciammo Milano in pulmann direttamente per Cervinia.
Arrivati ci dirigemmo alla Chiesa, dal parroco, un uomo abbastanza giovane e chiedemmo ospitalità.
Non so se mi spiego !? Andammo a dormire a casa del parroco perché senza soldi e chiedendo ospitalità, come nel medioevo, nel convento dei frati che raccoglievano i pellegrini !
L’uomo era perplesso, dicemmo che eravamo del gruppo Gao – gruppo alpino orione – ( era vero almeno per Ogliuto, forse anche io, difficile dimostrarlo per Klaus ), la chiesa parrocchia di Milano per Ogliuto.
Ci guardò, un po’ alla fine si convinse e ci ospitò in una stanza con molti letti, ricordo quattro, con molteplici raccomandazioni.
Fummo ovviamente molto corretti, avevamo sacco a pelo ed eravamo pienamente autonomi.
Credo scaldammo con i nostri fornellini in stanza, peraltro pericoloso.
E c’è da domandarsi se oggi potrebbero verificarsi analoghe situazioni: un gruppetto di 17enni che va in montagna chiedendo ospitalità al prete di paese che la concede e come viandanti se ne partono al mattino presto senza mai più fare ritorno o farsi sentire, fosse solo per un ringraziamento, obiettivamente doveroso.
Ricordo un senso di libertà di movimento e di esperienza inedita.
Di quel primo giorno e del successivo almeno fino al pomeriggio non è rimasto nulla, inteso come foto.
Ci sono foto bellissime del Rosa e di noi tre: autoscatto con sfondo panoramico. Molta neve ancora in quota.
Scendendo le marmotte, al primo risveglio di stagione, scappavano molto vicine. Ricordo nettamente il senso del passare per primi in un percorso, diciamo, incontaminato e di un rapporto con la natura diretto e del tutto inaspettato.

A S. Jacques - qui il ricordo non è nitido rispetto a quello che viene prima e quello che viene dopo delle tappe - si pone il problema che non c’è una chiesa.
Quindi non c’ è parroco, quindi siamo all’aria aperta a meno di non andare in albergo.
Che si fa ?
Viene in aiuto il Mondiale di calcio.
Sembra incredibile, ma è così.
Quella è la sera di Italia Germania, che poi finì 4 a 3 per noi. ( riva, rivera, mazzola, zoff, boninsegna, picchi, ecc … grandi speranze per poi perdere con il Brasile in finale miseramente. Assistemmo in un bar a Macugnaga )
Ricordo nettamente che neppure lo sapevo  che c’erano i mondiali o, almeno, ne avevo incerta coscienza.
Un po’ snob, ancor più ingiustificato considerate le condizioni pietose di aspetto ed intelletto di cui sopra, non seguivo il campionato di calcio e neppure il campionato mondiale di calcio.
Insomma ci ritroviamo nelle cucine dell’unico albergo che c’è insieme a tutto il paese ( frazione ) in 20 circa, donne comprese.
Di notte, con grande televisore davanti, bianco e nero, e tutti disposti intorno alle cucine vere e proprie, ai ripiani, alle credenze ed ai frigoriferi.
Chi in piedi, chi seduto, chi su seggiole, chi sui ripiani.
Non ricordo come fu e se ci invitarono oppure ci proponemmo.
Fu memorabile.
Assolutamente un classico ‘Italia popolare’, con tifo da stadio fra quattro mura, urla, cappelli ( dei valligiani ) buttati a terra per dissentire o per gioire, esortazioni urlate con tira, passa, buttalo a terra, grida quando segnavamo e grida ancor più forti quando segnavano loro.
Abbracci alla fine.
Un casino pazzesco e poi avevamo vinto !
Alla fine ci ospitarono, credo per intercessione di una delle donne di casa, ma con molta naturale semplicità.
La signora ci accompagnò nella stanza: attenzione però l’albergo era in ristrutturazione, quindi la stanza era in realtà nudo impiantito di parquet non ancora messo a lucido in una stanza senza niente dentro.
Io dormii male, lo ricordo bene.
Ed al mattino presto, molto presto via verso la tappa successiva.
Credo che la tappa del mondiale ( chiedo aiuto a Ogliuto e Klaus per questo ) venisse dopo quella del rifugio del Lys.
E’ l’unica volta che io scatto una dias: i due studiano una cartina e siamo già al rifugio.
La foto è bella.
A onor del vero arrivammo in funivia o seggiovia, non ricordo e, appunto, non ricordo da dove.
Quindi non riesco a collocare se la sosta del rifugio del Lys viene primo o dopo la partita del mondiale. Credo prima.
Quindi tutto quello che ho descritto è pienamente valido ma va collocato dopo l’episodio del rifugio.

Ci sistemammo nel reparto invernale, credo, quello sempre aperto.
Ottima dormita.
Prendemmo del cioccolato e dopo un interrogarsi fra noi decidemmo di pagare.
Fummo molto corretti. In fondo eravamo bravi ragazzi.
E non fu male l’esito di quel comportamento: mentre stavamo partendo piomba il giovane gestore del rifugio da valle con la prima corsa della funiseggiovia a controllare.
Prima molto sospettoso poi cordiale ed amico.
Diede indicazioni e suggerimenti e poi ripartimmo.
Questo fatto dei cittadini che fuori stagione andavano per montagne induceva ad interrogazioni e immediato contatto.
Non c’era molta gente in giro in quei giorni e quindi suscitavamo curiosità, comunque notizia come in questo caso interessata.
Il senso che si percepiva era ‘ ma da dove arrivano questi ? ‘.           

Ricordo che dopo la partita, direi dopo quella tappa, il clima fra noi era divenuto ancor più istintivo, solidale ed empatico, laddove ce ne fosse stato  bisogno.
La salita era nel sole del mattino e nel freddo. Veramente splendido.
Direi che dopo il primo giorno in cui eravamo impegnati nella marcia, in cui prevaleva la concentrazione nello sforzo fisico e nel riconoscersi in quello che si faceva, anche forse per sperimentare la energia da mettere nella salita ed in tutto il resto, sempre più questi aspetti divenivano funzionali alla comune esperienza.
Direi un classico quando si va in gruppo, ma ne ho ricordo vivo: un trasferire alla socialità l’insieme delle proprie attenzioni, superate le funzioni da assolvere ( organizzative e di impegno fisico nella salita ) divenute in qualche modo automatismo. 

Forse la sto facendo troppo lunga …

Scendendo ad Alagna c’è l’episodio del mulo ‘cavalleggiante’ che trasportava l’agnello in un grande cesto incardinato nel basto ( foto ). Poi c’è un passaggio in pulmino di cui non ricordo nulla ( ancora una volta con testimonianza fotografica )
Ad Alagna andammo a dormire dalle suore.
O meglio andammo a dormire ospitati dalle suore che gestivano un asilo per bambini, o forse era un asilo estivo in attesa dei bambini.
C’è una foto in cui si vedono le gambe di Klaus a cavalcioni dei piccoli water per bambini, tutti in fila, tutti piccolissimi, appunto da asilo.
Dormimmo a terra ancora una volta in uno stanzone.
Non ricordo invece come andò il contatto con le suore, credo veloce e funzionale, senza tante storie.
Nel frattempo il tempo si era guastato e camminavamo o in mezzo alle nuvole ( in tutti i sensi ) oppure sotto la pioggia.
C’è una foto in cui Ogliuto sembra in Alaska, una insieme con lui in cui io mi soffio il naso ( tanto per peggiorare ancor di più: golfetto azzurino e cappellino in testa, di profilo: un disastro ) una in cui ci siamo tutti e tre in autoscatto.

La discesa a Macugnaga dopo una marcia infinita è contraddistinta dal passaggio alle miniere in disuso ( oggi meta turistica segnalata ), credo d’oro retaggio della autarchica era fascista.
Ci sono foto bellissime del paesaggio di fondo valle, ed infine a casa della Maura.

A Macugnaga andammo infatti a casa della Maura.
Credo che ci fu un equivoco allora.
Qualcuno, forse Ogliuto o forse io, o forse tutti e tre, chiedemmo se potevamo fermarci a casa della Maura.
Fu negli ultimi giorni di scuola in fase di preparazione.
Registrammo il consenso, forse non era così esplicito, forse volemmo intendere il consenso e alla fine ci andammo.
Tuttavia trovammo casa chiusa, scomodammo la custode, ci aprì, fummo molto corretti ovviamente nell’uso e ci fermammo due notti, quella dell’arrivo e quella dopo.
Volevamo andare a vedere la partita di finale dei mondiali che vedemmo in nel pomeriggio in un bar con poco entusiasmo collettivo e quel clima che avevamo vissuti la notte nella cucina di albergo.
E poi fummo sconfitti sonoramente.
La partita fu anche motivo, o alibi, della sosta prolungata e del fatto che non proseguimmo per Zermatt.
Ci sono dias in cui siamo stravaccati a torso nudo su sdraio a riposare nella balconata della casa ( una bella casa plurifamigliare di legno ): una pietà mi sembro di avere 14 anni ed un autentica faccia da pirla.
Boh ? mi sembro ?! ce la avevo forse proprio.
Poi c’è un autoscatto invece che riscatta.
Siamo tutti e tre un po’ in fondo vicini, in piedi, dietro il parapetto della balconata  e sorridiamo.
Lì finalmente mi piaccio, mi sembra un netto passo in avanti, di auspicio per il futuro.

Credo però che in seguito la nostra sosta fu interpretata come un certo abuso da parte nostra.
In fondo una interpretazione giustificata.
Capii che avevamo ‘osato un po’ troppo’, era venuto il tempo che ci si doveva arrangiare con le proprie forze organizzative.
Non si poteva farsi ospitare qua e là a sbafo. Proprio no, non più.

Infine la ripartenza.
Fu bello.
Il primo passaggio un vecchietto arzillo che scendeva in Ape ( tre ruote ) bianco verso domodossola.
Foto. Faccia simpatica tutto grinzoso ma del tutto vispo.
Poi passaggio in cinquecento con giovane uomo con tanto di stemma adesivo su cruscotto antimilitarista ( la V rovesciata per intenderci ) che ci fece capire il suo disagio di avere messo incinta la fidanzata ed ora doveva lavorare per mantenere la famiglia e non poteva girare il mondo.
Va detto tuttavia che ne ho ricordo cordiale non disperato.
Infine il treno.
Prendemmo il treno perché non riuscimmo a fare autostop.
C’è la penultima dias che vede Ogliuto chinato a scrivere sul cap dello zaino un foglio. Io osservo in piedi dall’alto, sempre con l’orrendo maglione nero, sicuramente repulsivo dei potenziali disponibili a caricarci.
Ricordo che scrisse, senza successo, “ Non siamo lebbrosi ! “. ( chiedo conferma )
Rapidamente ci ritirammo in stazione e prendemmo il treno per Milano.

L’ultima dias infatti è nell’ora del tramonto, non c’era ancora l’ora legale credo, che ritrae dal treno in corsa il treno in corsa, le rotaie, il sole che tramonta, ed in fondo il futuro che ci aspetta …
Beh il futuro era la V.

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